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28 mag 2012

Sorpresa! Anche la progressista Silicon Valley discrimina le donne



Non è solo l'infelice quotazione in Borsa di Facebook ad agitare, in questi giorni, la Silicon Valley californiana. A far discutere c'è anche il terremoto che scuote la società di "venture capital" Kleiner Perkins, il vero cuore finanziario delle imprese digitali della West Coast. Un caso che non ha a che vedere con l'erogazione di fondi alle imprese, ma con la discriminazione sessuale.

L'immagine della Kleiner e del suo capo, John Doerr, il leggendario investitore che per primo scommise sulle neonate Google e Amazon, esce devastata dalla denuncia da Ellen Pao, una delle partner della società: 19 pagine consegnate al tribunale di San Francisco nelle quali Ellen racconta una vera "horror story", a cominciare dalle pesanti "avances" di un altro socio, Ajit Nazre. Lei rifiuta ma lui la boicotta sul lavoro. Dopo qualche mese la donna cede, ma dopo tre incontri rompe la relazione. Da quel momento la partner della società ricomincia a subire discriminazioni eviene trattata con disprezzo anche da altri uomini al vertice della Kleiner.

La Pao sostiene che Nazre molestò anche altre donne della società e che lei raccontò la vicenda ai suoi capi e allo stesso Doerr, ma senza successo. Anzi, Nazre fu promosso e messo in una stanza di fronte alla sua. E quando lei protestò di nuovo, le proposero un trasferimento in Cina.

Uno scandalo davvero così grave?

Diversi analisti che hanno studiato il caso sostengono che la Pao non vuole giustizia per gli abusi subiti ma solo un cospicuo indennizzo per gli "handicap" che hanno condizionato la sua carriera. Potrebbe anche essere così: la denuncia, centrata all'inizio sul "sexual harassment", si dilunga poi sulle discriminazioni nei confronti di tutte le donne partner della finanziaria che ricevono una quota dei profitti inferiore a quella riservata ai loro colleghi maschi e che vengono sistematicamente escluse da tutte le riunioni più importanti.

Chi conosce questo tipo di vicende sostiene che il caso si concluderà con unindennizzo milionario a favore della Pao. La stessa Kleiner accredita questa tesi quando esprime rammarico per il fatto che lei ha voluto rendere pubblica una controversia (infondata, secondo la società) che poteva essere risolta senza sollevare clamore. Qualcuno, maliziosamente, fa notare che in famiglia ci sono precedenti: il marito, Alphonse Fletcher, un investitore di Wall Street, ha già denunciato per discriminazione razziale (è nero) un datore di lavoro di qualche anno fa (la Kidder Peabody) e anche gli amministratori dello stabile di New York nel quale possiede diversi appartamenti: il Dakota, lugubre palazzo affacciato sul Central Park nel quale abitava – e davanti al quale fu ucciso – John Lennon.

Alphonse ha ottenuto indennizzi milionari in tutti e due i casi, ma quello di avere un "vizio di famiglia" è considerato dai più un sospetto infame. Tanto più che Eillen non è una figura di secondo piano: laureata in ingegneria elettronica a Stanford e poi in giurisprudenza ad Harvard, la Pao ha anche conseguito un "master" in "business administration" nella prestigiosa università di Boston. E, mentre il sito della Kleiner la presenta tuttora come un partner della società di straordinario valore, Nazre ha dovuto andarsene l'anno scorso, anche sull'onda delle denunce di altre donne da lui molestate.

Ma al di là del caso specifico – Eileen potrebbe anche avere davvero l'unico obiettivo di incassare qualche milioni di dollari – la vicenda fa un po' di luce sul "machismo" che domina nella cultura dei "tech geek" progressisti della Silicon Valley, non meno che tra i banchieri e "trader" gonfi di testosterone di Wall Street. Tra i 600 professionisti del "venture capital" censiti, solo l'11% sono donne. E tra i 75 migliori finanzieri nel ramo c'è una sola femmina. Che, curiosamente, è proprio della Kleiner Perkins, l'unica società del settore ad avere diversi partner "rosa" (9 su 38).

E non è solo un problema di finanza: nessuna delle società oggi più celebrate dell'economia digitale – Twitter, Facebook, Zynga, Groupon e Foursquare – ha una donna in consiglio d'amministrazione. La Apple ne ha una su sette, Amazon una su otto, Google due su nove. Come ho raccontato domenica scorsa sul "Corriere" e sulla 27a Ora, Sheryl Sandberg, numero due di Facebook ma senza un posto nel "board", combatte da anni contro questa situazione: spinge le donne a osare di più e a far sentire la loro protesta quando, ad esempio, a un convegno non vengono chiamare a parlare anche professioniste di alta qualificazione.

"Ce ne sono poche", protesta Michael Arrington di TechCrunch, "e quelle che contattiamo in genere ci dicono di no: già prese dagli organizzatori di seminari nel mondo.

Altri azzardano un'analisi più profonda, ma anche "politicamente scorretta": le donne pesano poco perché poco versate per gli studi scientifici. Nella Silicon Valley servono soprattutto ingegneri, fisici e "computer scientists", tutti mestieri per i quali le donne appaiono poco dotate. Un vero problema culturale, conferma Randi Zuckerberg, sorella inquieta di Mark, il fondatore di Facebook: "Da bambini a lui davano i videogame, a me le bambole".

Un clima che adesso la Sandberg è decisa a sovvertire: ma l'impresa è dura come quella del salmone che risale la corrente. Basti dire che l'"apripista" di Shreyl nei passaggi principali della sua carriera è stato l'ex ministro del Tesoro, Larry Summers, costretto qualche anno fa a dimettersi dalla presidenza di Harvard proprio per aver sostenuto la tesi della scarsa predisposizione "genetica" delle donne per le materie scientifiche.

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