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30 apr 2012

Trentino, energia dagli scarti delle mele

A Pejo una centrale a biomassa insieme a scarti di segheria per alimentare un centro di imbottigliamento

La caldaia di PejoLa caldaia di Pejo
MILANO - Dagli avanzi delle coltivazioni delle mele in Trentino, passando dalle foreste della Valtellina, fino al sottobosco dei pascoli nel Bellunese. È questo il legno che si trasforma in energia pulita. Un fenomeno in crescita nei territori montani, con più di 7 mila Comuni che utilizzano questa energia alternativa per alimentare centrali, caldaie, e impianti di teleriscaldamento e cogenerazione.

CIPPATO - Un consumo diffuso degli avanzi di segheria, di sterpaglie boschive e di coltivazioni, i cosiddetti cippati, come combustibile per creare, risparmiando sui costi delle bollette, calore ed energia. Inquinando meno e valorizzando risorse territoriali di scarto che altrimenti resterebbero inutilizzate. Acredere nelle biomasse e a investire sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, per i risparmi energetici e processi produttivi, non solo le amministrazioni, le cooperative e i consorzi locali, ma anche i grandi gruppi con stabilimenti nelle comunità montane. Tra questi, ad esempio, Sanpellegrino che nella valle trentina di Pejo ha costruito una centrale termica, interamente alimentata a biomassa, nel suo stabilimento di imbottigliamento dell'acqua. Utilizzando, in maniera prevalente, i residui delle coltivazioni delle mele.

LE MELE DEL TRENTINO – Protagonisti d'eccellenza come biomassa della centrale trentina, infatti, gli avanzi dei meleti. Polverizzati, insieme agli scarti di segheria e ai residui boschivi del Parco dello Stelvio, in appositi macchinari chiamati cippatrici e in grado di trasformare il legname in biocombustibile. Creando, in questa maniera, non solo energia pulita ma anche un legame imprescindibile e un sodalizio proficuo con le aree circostanti. «Gli scarti che utilizziamo per la nostra centrale termica», spiega Daniela Murari, direttore Csr del gruppo Sanpellegrino, «provengono tutti da un raggio massimo che va dai 40 agli 80 chilometri. Permettendo alla nostra caldaia di integrarsi perfettamente con il territorio in cui operiamo. In più, dato che l'impianto ha una potenza termica di circa 5 megawatt, stiamo mettendo a punto un sistema per sfruttare questa energia attraverso una rete di teleriscaldamento. Per ora, l'allacciamento è già stato fatto negli edifici pubblici, come amministrazioni, biblioteche, palazzi comunali e scuole. E», conclude Murari, «tra un anno collegheremo le case dei centri abitati».

IL TAGLIO DELLE PIANTE MORTE – Vasta, del resto, la possibilità di scelta tra i vari cippati di legno da utilizzare come combustibili. Tendenzialmente scelti a seconda delle disponibilità territoriali. Tra questi, presenti in grande quantità in diverse zone italiane, i tronchi, i rami e le radici delle piante morte dei boschi. Adatti non solo per produrre energia, ma per migliorare lo stato di conservazione e di mantenimento delle aree boschive. Un esempio virtuoso nell'utilizzo di questa pratica, il distretto energetico valtellinese. Che da quasi dieci anni si avvale di impianti centralizzati e di alcune centrali di teleriscaldamento, alimentati con gli scarti dei boschi, rifornendo di calore migliaia di famiglie tra Valtellina, Valchiavenna e Valcamonica. Eliminando anche l'inquinamento e le emissioni di CO2 provenienti da migliaia di caldaie.

IL SOTTOBOSCO – Oltre all'utilizzo delle piante morenti o malate, ci sono anche altre motivazioni che spingono i piccoli Comuni a utilizzare il legno come biomassa. «Un fattore condizionante», spiega Giovanni Piccoli, presidente del Consorzio Bim Piave di Belluno, «è la capacità di produzione del cippato. Ad esempio, nel Bellunese il bosco se non controllato, rischia di invadere le zone di pascolo. Diventando, spesso, un ostacolo per chi vive ancora dell'attività pastorizia. Per questo motivo, tra le leve che ci spingono a utilizzare i cippati come combustibile c'è anche il mantenimento dei profili e dei paesaggi», prosegue Piccoli. «E, per preparare il territorio a utilizzarli al meglio, abbiamo sviluppato, insieme all'ispettorato forestale di Vipiteno e agli esperti austriaci di Innsbruck, un progetto per la mappatura delle biomasse disponibili. Di cui prossimamente presenteremo i risultati. Tra i nostri principali interessi», conclude Piccoli, «c'è quello di sviluppare nel territorio bellunese la microcogenerazione. Anche se, per il momento, più che il combustibile, il nostro problema rimangono le barriere tecnologiche. Quello che ci servirebbe, infatti, sono machinari piccoli, con una potenza sui 7-8 kw che possano non solo adeguarsi al territorio, già forte nel settore idroelettrico, ma anche diventare convenienti come investimento e con tempi brevi di rientro econimico».

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