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2 apr 2012

Essere ottimisti è un affare


Sono fattori biologici che ci portano a vedere rosa Così garantiscono la sopravvivenza della specie

Un'illustrazione di Todd Davidson (Corbis)Un'illustrazione di Todd Davidson (Corbis)
Chi passeggiasse nella Foresta Verde respirando i primi vapori della primavera troverebbe bello che le foglie si spieghino al nuovo sole e quindi i semi maturino e cadano a terra. Si potrebbe dire, scriveva un grande filosofo francese purtroppo dimenticato come Alain (pseudonimo di Emile Chartier), «che ognuno di questi semi abbia il suo destino, che è di germogliare, crescere e diventare albero a sua volta, mentre tale cosa non capita forse neanche a uno solo su un milione che marciscono». Ma i passeggiatori non ci pensano e anzi, sentendosi improvvisamente figli della terra, finiscono con l'adorare questo tutto miserabile. Succede agli ottimisti.


Ammetto di essere un pessimista mancato; nonostante l'osservazione e l'esperienza mi spingano inesorabilmente verso una visione dura e realistica delle cose, il temperamento mi rimbalza invece sempre verso il buonumore e la fiducia. Il mio è insomma un mediocre pessimismo di posa e alla fine non riesco a essere all'altezza delle aspettative.
Fortunatamente. Dico fortunatamente non tanto per amor di contraddizione, ma ormai con una certa consapevolezza derivata dalla lettura del libro di una neuroscienziata israeliana ricercatrice all'University College di Londra, Tali Sharot: Ottimisti di natura (Urra/Feltrinelli). Scrive la Sharot: «Per definizione, gli ottimisti sono persone che hanno aspettative positive per il futuro (...). Poiché si aspettano di cavarsela meglio e di essere più sani, hanno meno ragioni soggettive per preoccuparsi e disperarsi e di conseguenza sono meno ansiosi e si adattano meglio a fattori di stress (...). Di conseguenza, guadagnano anche di più. Il livello di ottimismo di una persona al primo anno degli studi di giurisprudenza ha permesso di predire il suo reddito un decennio più tardi: un piccolo punto in più sulla scala dell'ottimismo valeva 33 mila dollari di più all'anno».


Tali Sharot è un'autorevole scienziata, non è uno di quei mostriciattoli aggressivi che ti salutano con patibolari pacche sulle spalle e rispondono al nome apocalittico di motivatori o life coach . Ogni affermazione della Sharot si basa invece su esperimenti scientifici e psicologici e sulla verifica ulteriore di ciò che avviene fisicamente nel nostro cervello, tramite la risonanza magnetica o altri esami, quando siamo o immaginiamo di essere ottimisti. La sua tesi è affascinante e tremenda insieme: gli esseri umani sono naturalmente portati a essere ottimisti perché così conviene. Se il nostro cervello non fosse costruito per darci l'illusione ottimista, a questo punto ci saremmo già sparati una revolverata. È solo grazie al fatto che siamo biologicamente costruiti per vedere il mondo con positività che il nostro mondo e le nostre vite possono diventare belle e felici. È un Giacomo Leopardi in salsa rosa. «Si è tentati di ipotizzare - scrive Tali Sharot - che l'ottimismo sia stato selezionato nell'evoluzione proprio perché le aspettative positive aumentano le probabilità di sopravvivenza. Il fatto che gli ottimisti vivano più a lungo e godano di una salute migliore, insieme con le statistiche che indicano che la maggior parte degli esseri umani presenta inclinazioni ottimistiche, con i dati recenti che collegano l'ottimismo a geni specifici, danno un forte sostegno a questa ipotesi».

Il libro di Tali Sharot ha avuto un grande successo all'estero, le sue tesi hanno fatto discutere «Time», «New Scientist», «Wall Street Journal», «Newsweek», «Washington Post», Bbc... Sembrerebbe la lettura adatta per affrontare la crisi mondiale, al punto tale che verrebbe voglia di scegliere Ercole, uccisore di mostri, come modello di pensatore per i nostri tempi. Un eroe pratico che insegna a pensare oggetti per cambiare il mondo. Come Pat Riley, l'allenatore di basket dei Los Angeles Lakers che, dopo aver vinto l'Nba nel 1987, ha avuto l'ottimismo e l'intelligenza di annunciare un secondo dopo che la sua squadra avrebbe senz'altro vinto anche l'anno successivo (nella storia dell'Nba è un evento decisamente raro) innescando in questo modo un circolo virtuoso di motivazioni, impegno e fiducia che effettivamente ha poi portato al raggiungimento dell'obiettivo. «Di tutti i trucchi psicologici che Pat ha tirato fuori dal cappello, questo è stato il migliore», disse all'epoca il grande Magic Johnson offrendo l'occasione a Tali Sharot di illustrare la sua tesi secondo la quale l'ottimismo è spesso una profezia che si auto-avvera.


«Se crediamo in noi stessi raggiungeremo i nostri obiettivi», si legge sull'etichetta di un nuovo integratore e persino alcune pastiglie per la lavastoviglie sono confezionate in involucri su cui sono stampate frasi dei soliti Oscar Wilde, Bernard Shaw e compagnia per strapparci un sorriso o una serena, come la digestione, riflessione. A prima vista trattasi di semplice e insopportabile marketing. Ma più in profondità c'è dell'altro: una strategia della natura che, per convincerci a essere ottimisti, ci riempie di messaggi positivi per un obiettivo che può terrorizzare per la sua ambizione: la sopravvivenza della specie.
Tutto è un'illusione, uno scherzo efficace del cervello (Tali Sharot mostra come l'ottimismo neurologico porti anche a una modificazione misurabile della percezione della realtà); l'ottimismo è l'arma che l'evoluzione ci ha dato per migliorarci anche quando le cose non vanno bene. È grazie all'ottimismo che si possono trovare le risorse per affrontare i fallimenti, solo sperando di superare una crisi si può avere la voglia di individuare le soluzioni per farcela. Passato un po' di tempo dalla morte della moglie, lo scrittore C. S. Lewis annotava incredulo sul suo diario fino a quel momento pieno di riflessioni dolorose: «Non posso negare che in un certo senso "mi sento meglio"»; era la risposta biologica alla sua sofferenza. Le leggi della natura ci condannano all'ottimismo.
Comunque vada, ci troviamo a ripetere un po' smarriti, sarà un successo.

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