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8 mar 2012

Concordia, la nave non sarà fatta a pezzi


Il recupero della nave comincerà quando tutti i serbatoi saranno stati svuotati dal carburante

Costa sottopone 8 progetti 
alla Protezione civile. 
Unica certezza: il relitto 
via dal Giglio


GENOVA

C'è addirittura chi ipotizza di usare milioni di palline di polistirene riempite d'aria e piazzate all'interno della nave per farla riemergere, una soluzione provata in Kuwait e Islanda, un'idea suggerita in una storia di Paperino del 1949 e in un racconto di Arthur Clark. Ma le palline si possono disperdere in acqua, sono difficilmente controllabili e recuperabili. Per gli esperti del sito di Scientific American, il progetto di recupero del relitto della Costa Concordia che darebbe più garanzie è che la nave venga letteralmente fatta a pezzi, affettata in tronconi da 200-300 tonnellate, con i detriti raggruppati da magneti di tre metri di diametro, come sostiene Mike Lacey, segretario dell'International Salvage Union, l'associazione delle società di recupero. Ipotesi, però, che la Costa Crociere ha escluso fin dall'inizio, per gli enormi problemi di impatto ambientale che un cantiere a cielo aperto all'isola del Giglio comporterebbe. E che fa venire i brividi al sindaco Sergio Ortelli: «Un attentato all'ambiente. Affettare il relitto della Concordia vuol dire venire meno a tre principi fondamentali che fino ad oggi hanno orientato tutte le operazioni sulla nave: il rispetto dei sette cadaveri che ancora sono nello scafo e dei parenti delle vittime, la tutela dell'ambiente e quella delle attività socio-economiche dell'Isola».

Nel bando della gara indetta da Costa più di un mese fa, la richiesta era di un'offerta di rimozione del relitto intero con la clausola determinante della salvaguardia ambientale. Il che, come sottolinea Max Iguera, responsabile dei salvataggi di Cambiaso e Risso Service, gruppo di servizi marittimi rappresentante da 60 in Italia della Smit Salvage (che sta attualmente completando con un'operazione da manuale l'aspirazione dei combustibili), esclude l'invasiva operazione di sezionamento. Dieci le ditte interpellate, le più accreditate al mondo, in grado di eseguire l'operazione nel minor tempo possibile, garantendo la massima sicurezza e il minor impatto: Smit Salvage BV, Svitzer Salvage BV, Mammoet Salvage BV, Titan Salvage, Resolve Marine Group Inc., T&T Marine Salvage Inc., Donjon Marine Inc., Tito Neri S.r.l., Fukada Salvage & Marine Works Co. Ltd., The Nippon Salvage Co Ltd.

Il 3 marzo sono scaduti i termini per la presentazione dei piani operativi. Hanno risposto otto società e nell'abituale incontro settimanale con gli abitanti del Giglio, domani, il responsabile della Protezione Civile, Franco Gabrielli, Commissario Delegato per l'Emergenza Costa Concordia, potrà anticipare a grandi linee le soluzioni proposte.

La scelta sarà effettuata entro la fine del mese, affidata un comitato tecnico, composto da rappresentanti di Costa Crociere, Carnival Corporation & plc, Fincantieri, Rina ed esperti del settore, che sta valutando le proposte insieme al Comitato Scientifico delle Protezione Civile. Poi si procederà con le operazioni, che potrebbero richiedere dai 6 mesi a un anno e mezzo di tempo.

«I problemi fondamentali sono due: tappare le falle e raddrizzare la nave, dandole stabilità e galleggiabilità, per rimorchiarla via» spiega Iguera. Le aperture praticate durante le operazioni di soccorso e di ricerca dei corpi non preoccupano: è lo squarcio di 70 metri lungo la chiglia che richiederà 100 tonnellate di lamiere presagomate da saldare. Tra le ipotesi per il sollevamento della «Costa Concordia», l'uso di palloni, di argani ancorati sulle chiatte, di pontoni con verricelli, di cassoni in acciaio fissati ai lati della nave come giganteschi salvagenti stabilizzatori.

Ogni operazione di recupero fa caso a sé, ma questa «si presenta particolarmente complicata per le dimensioni della nave e per il luogo del naufragio». Ovvero, come fa capire Iguera, in zone non vincolate si potrebbe procedere con una palificazione in mare per fissare gli argani in grado di sollevare il gigantesco relitto. Perchè sia le chiatte che i pontoni in qualche modo vanno fissati al fondo, altrimenti gli argani non potrebbero sollevare 112 mila tonnellate piene d'acqua.

Ed è anche un problema di costi, altissimi, per decine e decine di milioni di euro. La soluzione più economica apparentemente semplice non sempre risulta la migliore: in una gara d'appalto per il recupero di un relitto nel Mare del Nord furono scartati due progetti da 90 milioni scegliendo quello da 55. «Da due anni la nave è sempre sul fondo e la ditta ha abbandonato l'impresa» ricorda Iguera.

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