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27 gen 2012

Truffe, soprusi e feroce prepotenza Ecco il clan che comanda a Roma I villini della famiglia Casamonica


Dall'usura allo spaccio in grande stile di cocaina, così la famiglia ha costruito il suo potere basato sulla forza e sulle botte. Tanti sono stati inmbrogliati, pochi hanno avuto il coraggio di reagire, qualcuno ha pagato pesantemente. Per la Dia è la struttura criminale più potente del Lazio con un patrimonio stimato di 90 milioni di euro. Il recupero crediti e il rapporto con Nicoletti. La controffensiva delle forze dell'ordine, ma la certezza della pena è un optional

ROMA - L'iraniano voleva i suoi soldi. Aveva lavorato sodo, era stato ai patti, aveva rispettato scrupolosamente le date di consegna. Niente scuse, adesso era il momento di incassare. Era un tipo tosto, l'iraniano, o almeno credeva di esserlo.

Sedicimila euro. Questo il prezzo pattuito per i capitelli di marmo pregiato che dovevano completare le colonne finto doriche della villa di Rocca Cencia, trionfo del kitch estremo nel più limpido stile Casamonica, una pacchianata hollywoodiana che assemblava i soliti ingredienti: rubinetti placcati oro, vasche Jacuzzi modello piscina olimpionica, statue di malachite, paccottiglia varia e qualche quadro d'autore alle pareti. In tempi di crisi, l'iraniano (un marmista quarantenne sfuggito alla guerra con l'Iraq, alle persecuzioni degli ayatollah e alla delinquenza del suo paese) si era tenuto stretto: solo 2 mila euro di anticipo. "Questi sono imbottiti di soldi, pagheranno", si illudeva. Il marmista stava per avere un assaggio del modo Casamonica di regolare le questioni, un modo assolutamente unico e inimitabile come unica e inimitabile, in tutta Europa, è la loro organizzazione criminale. E non gli sarebbe piaciuto affatto.

I primi guai erano cominciati presto, al momento di chiedere il saldo. Quei clienti chiassosi, villani, che passavano dalla pacca sulle spalle alla sequela di insulti in meno di un nanosecondo, prendevano tempo, tergiversavano, la tiravano alle lunghe. All'ennesima telefonata, Guido Casamonica s'era incavolato di brutto: "Ma con chi credi di parlare, idiota? Ma lo sai chi siamo noi? Ma come c... ti permetti di chiedermi i soldi? Adesso vengo da te e ne parliamo". Detto fatto. Dopo il chiarimento, l'iraniano si era ritrovato col setto nasale deviato, la mascella gonfia, 2 mila euro di meno e il cellulare sparito. Ma continuava a credere di essere un tipo tosto: dritto dai carabinieri a sporgere denuncia.

Un affronto del genere, quando si ha a che fare con i Casamonica, si paga caro. Ne sanno qualcosa le decine di persone che, in passato, hanno venduto auto, camper, cavalli o qualunque altra cosa ai componenti del clan, si sono ritrovati con un pacco di assegni-carta straccia in mano e, dopo qualche "chiarimento", hanno pensato bene di ritirare la denuncia. L'iraniano no, lui tenne duro, anche quando un amico gli spiegò che gli sgherri del clan stavano setacciando la zona alla ricerca dell'indirizzo di casa sua. "Questo non è l'Iran - rifletteva - qui c'è la legge, ci sono i tribunali e io ho ragione...".

Due giorni dopo, l'artigiano fu aggredito e pestato a sangue da due kosovari mentre scendeva dalla macchina. Terrorizzato e sanguinante, l'uomo tentò di rifugiarsi in un negozio ma il titolare sapeva come vanno a finire certe cose, pensò alla famiglia e non lo lasciò entrare. Neanche ventiquattro ore più tardi il quarantenne si ritrovò di nuovo faccia a faccia con i suoi aguzzini, che lo massacrarono di botte con un pezzo di marmo e cercarono di sequestrarlo per portarlo nella villa, al cospetto del capo. Una gazzella dei carabinieri piombò sul posto appena in tempo. Dopo gli arresti, i militari scoprirono un alveare di appartamentini che i Casamonica affittavano agli stranieri clandestini per 500 euro al mese.

Una storia piccola, feroce, emblematica. Ormai diventati una potenza economica, considerati dalla Dia l'organizzazione criminale più radicata del Lazio, proprietari di un patrimonio che, qualche anno fa, fu stimato intorno ai 90 milioni di euro, i Casamonica continuano a imporre la loro legge con la protervia e, spesso, la stupidità di una baby gang di borgata: una miriade di truffe, soprusi, estorsioni, bravate, sceneggiate, risse, pestaggi e minacce che spesso, finiscono per cacciarli in un mare di guai. La domanda da un milione di dollari è come hanno fatto a salire così in alto e, al tempo stesso, a restare ancorati ai rituali della delinquenza di strada?

Ma quali sono, oggi, gli interessi dei Casamonica?

Il business. Lo spaccio di cocaina, oggi, è il primo, grande interesse di quella che, in quarant'anni di attività capillare, è diventata una vera e propria holding. Roma è una città che "tira", una capitale dalle narici arrossate e incipriate di polvere dove la passione per la madame Blanche è una follia trasversale che affratella manager, produttori cinematografici, macellai, idraulici e malavitosi di ogni calibro. I Casamonica puntano sulla grande distribuzione e praticano un dumping spietato: si scende a 40 euro al grammo e la roba è decente. Gran parte dei clienti sono transessuali, pronti a far pubblicità col passa parola e a vantare i prezzi degli spacciatori di strada.

Ma la coca non basta. La famiglia, da sempre, ha le mani in pasta nell'altro, grande business della mala capitolina: l'usura. Storie di gente rovinata per pagare un intervento chirurgico o il matrimonio della figlia e perseguitata fino all'orlo del suicidio non si contano più. La vera specialità dei Casamonica, tradizionalmente, è il recupero crediti. Una joint venture col premiato gruppo Nicoletti spa era basata su uno scambio di questo tipo: due creditori insolventi da spremere ai Casamonica in cambio di uno docile per l'ex banchiere della Magliana. Quando si tratta di costringere qualcuno a pagare, gli ex zingari giostrai ci vanno giù duro anche se continuano a mostrare una arcaica diffidenza verso le armi da fuoco e di solito regolano le questioni a pugni. Non a caso, una delle glorie familiari (ma stiamo parlando di parentele lontane) è l'ex campione nazionale dei superwelter ed ex olimpionico a Los Angeles Romolo Casamonica, 49 anni (che si è fatto beccare di recente per l'estorsione a uno sventurato allevatore di cani che gli aveva venduto due chihuahua) fratello di Sandro, anche lui pugile azzurro di rilievo fino al 2004. Pronti a spendere e a spandere ma anche a riciclare i soldi in un dedalo di società finanziarie del Principato di Monaco, i signori della zona sud est della capitale si stanno lanciando anche in una serie di affari in grande: due anni fa, un'inchiesta della procura di Reggio Calabria aprì uno squarcio su una inedita alleanza tra la famiglia degli Alvaro e il clan Casamonica per il controllo del porto di Gioia Tauro, tramite un imprenditore romano. E se c'è bisogno di spiccioli in contante, i bancomat sono i commercianti: estorsioni al minuto, centinaia o migliaia di euro, orologi di marca o auto di lusso scuciti senza pagare un centesimo e senza neanche il bisogno di alzare le mani. Basta la parola: "Sono un Casamonica". E a questo punto la seconda, grande domanda, quella da due milioni di dollari è: che fare? Che strategia si può adottare contro una invasione che sembra inarrestabile?

La controffensiva. "Decapitato il clan Casamonica". "Blitz nel regno del clan". "Casamonica, il tesoro degli usurai". I titoli dei quotidiani si susseguono da almeno 30 anni e tutto resta com'era. La nuova linea dura della procura romana, con l'applicazione (per la prima volta) del reato di associazione a delinquere sembra promettente. "Puntiamo molto anche sui sequestri dei beni e sulla demolizione degli immobili - spiega il colonnello Rosario Castello, comandante del gruppo di Frascati - ma per colpire i Casamonica ogni accusa va bene: dal pestaggio al furto di energia elettrica". La soluzione (come nella stragrande maggioranza degli affari criminali nostrani) in realtà si riassume nelle famose tre parole magiche: certezza della pena. Ma quello è un altro discorso.

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