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9 nov 2011

APPROVATO IL RENDICONTO CON SOLI 308 VOTI, IL PREMIER SI ARRENDE Berlusconi, passo indietro al Colle «Lascio, non ho più la maggioranza» L'annuncio dopo l'incontro al Quirinale: «Mi dimetto una volta approvata legge di stabilità»


Il voto in Aula e la delusione del premier

MILANO - «Prima la legge stabilità e poi mi dimetto». Sono queste le parole pronunciate da Silvio Berlusconi a Giorgio Napolitano durante l'incontro al Quirinale. Un faccia a faccia, durato quasi un'ora, subito dopo che il premier ha perso la maggioranza alla Camera durante il voto del rendiconto generale dello Stato. Al Colle è salito con Gianni Letta. Subito dopo aver lasciato il Quirinale, Berlusconi ha convocato un vertice con gli esponenti di Lega e Pdl a Palazzo Grazioli. «Prendo atto di non avere più la maggioranza», ha detto il presidente del Consiglio che poi ha aggiunto: «Io vedo soltanto la possibilità di nuove elezioni, ma deciderà il Capo dello Stato». In ogni caso «non sarebbe pensabile dare responsabilità di governo a chi ha perso le elezioni, in democrazia si fa così». L'importante è «preoccuparci di ciò che accade sui mercati finanziari che non credono che l'Italia sia capace di approvare le misure che l'Ue ci ha chiesto». Il Senato potrebbe licenziare in prima lettura il ddl stabilità entro venerdì 18 novembre. Ma Bersani frena: «Al momento non ci sono le condizioni per votare il Ddl stabilità».

IL QUIRINALE- A confermare le intenzioni del premier anche una nota del Colle. «Il Presidente del Consiglio ha manifestato al Capo dello Stato la sua consapevolezza delle implicazioni del risultato del voto odierno alla Camera; egli ha nello stesso tempo espresso viva preoccupazione per l'urgente necessità di dare puntuali risposte alle attese dei partner europei con l'approvazione della Legge di Stabilità, opportunamente emendata alla luce del più recente contributo di osservazioni e proposte della Commissione europea». Il comunicato poi aggiunge: «Una volta compiuto tale adempimento il Presidente del Consiglio rimetterà il suo mandato al Capo dello Stato, che procederà alle consultazioni di rito dando la massima attenzione alle posizioni e proposte di ogni forza politica, di quelle della maggioranza risultata dalle elezioni del 2008 come di quelle di opposizione».

IL VERTICE- Subito dopo aver lasciato il Quirinale, Berlusconi ha convocato un vertice a Palazzo Grazioli. Tra i partecipanti, oltre a esponenti del Pdl, sono arrivati anche Maroni, Calderoli e Bossi. Il leader della Lega ha lasciato la residenza romana del premier intorno alle 22. Subito dopo di lui il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, i coordinatori del Pdl, Ignazio La Russa e Denis Verdini, e i capigruppo del Pdl hanno lasciato il Palazzo. Restano dal premier il segretario del Pdl, Angelino Alfano, il sottosegretario alla Presidenza, Gianni Letta, e il ministro leghista Roberto Calderoli.

IL VOTO- Nel pomeriggio il dramma dell'esecutivo si consuma alla Camera. I «sì» si fermano a quota 308, otto voti sotto la maggioranza assoluta. Il centrodestra minimizza e parla di «numeri previsti», ma l'opposizione insorge in Aula e chiede pubblicamente al premier un passo indietro.Undici i deputati di centrodestra che non hanno partecipato al voto. «Rassegni le sue dimissioni e rimetta il mandato al capo dello Stato», è l'invito che il leader Pd Pier Luigi Bersani gli rivolge, prendendo la parola a Montecitorio subito dopo il voto. «Rassegni le dimissioni e qui faremo la nostra parte per il Paese. Se lei non lo facesse le opposizioni considererebbero iniziative ulteriori perché così non possiamo andare avanti», aggiunge il segretario dei democratici

Il voto alla Camera sui giornali esteriIl voto alla Camera sui giornali esteri     Il voto alla Camera sui giornali esteri     Il voto alla Camera sui giornali esteri     Il voto alla Camera sui giornali esteri     Il voto alla Camera sui giornali esteri     Il voto alla Camera sui giornali esteri     Il voto alla Camera sui giornali esteri

ALLA CAMERA - Subito dopo il voto (che ha fatto risalire lo spread), il premier si è messo a controllare il tabulato dei voti, per verificare di persona chi si è espresso a favore e chi non ha votato. Ai fedelissimi Berlusconi non ha nascosto amarezza e delusione. «Mi hanno tradito, ma questi dove vogliono andare?», avrebbe detto ad un gruppo di esponenti del Pdl riuniti attorno ai banchi del governo nell'emiciclo. Quindi l'invito a «stringersi» e a «decidere subito cosa fare». Dopo il voto Berlusconi ha incontrato Umberto Bossi Roberto Calderoli, nella sala del governo. A seguire, il vertice a Palazzo Chigi con il Senatùr, Gianni Letta e Angelino Alfano, e poi l'incontro con il capo dello Stato.

Il voto alla CameraIl voto alla Camera    Il voto alla Camera    Il voto alla Camera    Il voto alla Camera    Il voto alla Camera    Il voto alla Camera    Il voto alla Camera

I FOGLIETTI - Il futuro del governo era già incerto nel pomeriggio. A dimostrarlo i due foglietti scritti dal premier prima e dopo il voto. A Montecitorio, dopo il sì al rendiconto, Berlusconi ha annotato su un pezzo di carta la parola "traditori" e anche quella "dimissioni", in una sorta di elenco di scenari possibili. I malpancisti recatisi a Palazzo Grazioli prima del voto avevano invece trovato il Cavaliere che maneggiava un foglietto. Uno schema a tutta pagina con in bella mostra alcuni punti interrogativi. «Prendo la fiducia? Lascio? Governo tecnico? Reincarico?». Ad ogni domanda Berlusconi aveva inserito sul foglio una risposta, un percorso, evidenziando i pro e i contro delle ipotesi in campo.

IL SIPARIETTO- Prima del voto, Bossi aveva confermato ai cronisti che la Lega ha chiesto al premier alleato un passo indietro, anzi «di lato», per fare spazio ad Alfano, favorendo così l'ascesa a Palazzo Chigi dell'ex Guardasigilli ora segretario del Pdl. Per il numero uno del Carroccio Alfano rappresenta la garanzia che si continuerà a percorrere la strada del federalismo, formando un nuovo esecutivo che mantenga il veto sull'Udc. Mini-siparietto, sempre prima del voto, tra Bossi eMassimo D'Alema. Il Senatùr all'esponente del Pd: «Allora, che fate?». Secca la risposta: «È chiaro quello che vogliamo fare: cerchiamo di mandarvi a casa. È il compito di ogni opposizione» risponde.

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